Sunday, August 4, 2013

a lezione di inglese con Johnny Cash

Tra le diverse attività intraprese, e mai portate a compimento, c'è lo studio dell'inglese.
Il mio pessimo e personale rapporto con la lingua anglossassone inizia alle medie.
Il voto che prendevo con più regolarità - una sorta di coerenza nell'applicazione allo studio - era scarso.
Mi sono ripresa dal pessimo rapporto con questa astruso e complicato idioma, che si pronuncia in modo diverso da come si scrive, solo all'Università. Poi, dato l'esame, ho smesso di studiarlo.

Ma veniamo a oggi.
Trovo che Johnny Cash avesse una pronuncia limpida. Ascoltando i suoi pezzi, riesco a distinguere bene le parole. Quindi, ho deciso: ripasserò l'inglese con le sue canzoni. Certo,al posto di esempi di vita quotidiana, fatta di penne sul tavolo o gatti alla finestra, o pomodori più economici del latte (?), il mio inglese sarà fatto di immagini - un po' inconsuete, nei testi scolastici - sul bruciare nelle fiamme dell'inferno viva, attraversando l'oscurità, per finire in carcere.
Per fare pratica, al caffè, dovrò parlare di quella volta che son saltata giù da un treno ma, per fortuna, non sono morta. O di quella volta che ho fatto la boscaiola, o che sono stata una pluriomicida. Alle colleghe di lavoro chiederò se per loro l'amore è come un cerchio di fuoco.
Thank you, Johnny!

Comunque la seconda scelta era Margaret Thatcher.

Saturday, July 27, 2013

kafka chi?

"Ma qui a Reykjavík la gente mangia sempre? A tutte le ore?", ci chiedevamo noi, divertite, nei nostri primi giorni di permanenza in città, lo scorso aprile.

In meno di tre mesi, mi sono trasformata in un Mostro a tre teste e sei bocche.
Tutte che mangiano moltissimo.

Non che non fossi già una buona forchetta (o Voi che già stavate per avanzare l'osservazione, io vi conosco e vi precedo quasi sempre, Serpi!), ma adesso ho anche raggiunto picchi di voracità preoccupanti.

Certe performances che, se mi vedesse l'amica Veri, che era solita sfottermi per la lentezza con cui mangiavo e, in particolare, sorseggiavo il caffè dopo cena ("quello lì lo conservi per la colazione di domani?"), non mi riconoscerebbe.

Poi, insomma, non è che qui si mangi sanissimo.

Noi ci premuriamo anche di comprare verdura e verdura (no, non è un errore... è che la frutta, qui, scarseggia assai: il massimo dell'esotico è la fragola), ma se la fame ti coglie mentre sei in giro per la città, la cosa più rapidamente a portata di fauci e di portafogli, è l'hot dog. E non un hot dog qualunque. Un hot dog með öllu: pylsa, salse varie e cipolle, crude ma pure croccanti (presumubilmente fritte e anche zuccherate).

Non so a cosa sia dovuta questa mia metamorfosi.

Tensione?

Aria fresca (...), un po' come fosse aria di montagna, che - si sa - mette appetito?

Qualunque cosa sia, prego affinché lo Spirito Mangerino che pare essersi impossessato di me, esca da questo corpo.

Anche se ha già iniziato a sentircisi fin troppo comodo.

(il pylsa ancora non siamo riuscite ad immortalarlo, per ovvî motivi)



Saturday, July 13, 2013

ricomincio da tre

1. HO LE MIE COSE
2. SONO SOLO UN PO' STANCA
3. HO MAL DI TESTA


Questa settimana, le ho dette tutte e tre.
E non erano mica scuse che si tirano fuori nelle circostanze che ben sappiamo.



1. HO LE MIE COSE.

Anzi, vogliamo strafare: ABBIAMO LE NOSTRE COSE.
Our personal belongings!
Gli scatoloni sono arrivati, finalmente!
Lo scotch ha retto. Siamo felici.

Ah, l'importanza di portare con sé qualcosa di familiare, quando si espatria!
Vabbè, magari noi abbiamo esagerato.
Bastavano anche meno di 350 chili di personal belongings, forse. Una tazza, per dire.
Però quanto conforto si prova, nell'aprire le scatole in un susseguirsi di "ohhhhh", per ogni oggetto che ne salta fuori!
Così, come se ci fossimo mandate dei regali di benvenuto da sole.
Che tonte.

Ci abbiamo messo un po', ma tutto il contenuto dei dieci scatoloni ci ha seguito diligentemente su per le scale, fino ad occupare ogni centimetro quadrato del pavimento di casa.
Siamo sempre senza mobili; l'ambiente fa ancora un po' di eco. Attutita, però, dal tappeto di personal belongings sparpagliati ovunque.
Ti volti e c'è un mestolo che ti guarda sorridendo. E' quasi casa.




2. SONO SOLO UN PO' STANCA.

Lo ammetto: sto piangendo moltissimo. Un po' fontana malata (dopo vent'anni, mi si presenta l'occasione per ringraziare la docente membro della commissione d'esame di maturità che, durante la prova orale di italiano, mi fece leggere la poesia di Palazzeschi. Fu davvero bello deliziare gli astanti con quei versi. Ricordo con serenità le risate dei compagni - cretini. - al mio declamare l'incipit "clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch").

Ma sto piangendo moltissimo, dicevamo.

Un po' per tutto:
- nostalgia
- sorpresa, al mio provare nostalgia
- sprazzi di felicità, al palesarsi di un timido raggio di sole
- comprensibile spaesamento
- pre-mestruo
- foto di cani; disegni di cani; cani in carne e pelo; sempre cani, anche in lontananza. Non ho ancora provato coi peluche. Vi farò sapere.


L'altra sfoglina giustamente si/mi pone la legittima domanda "cosa c'è?", alla quale io rispondo, a seconda del momento:

a. sgranando gli occhi e scuotendo solo la testa (sto piangendo, non riesco a fare altro)
b. sono solo un po' stanca.

In realtà, ci sono momenti - quando ho freddo, o quando guardo annunci di lavoro in islandese (google translate è ormai la mia seconda casa) - in cui vorrei salire sul primo aereo verso sud. E piango. Ma la risposta giusta da dare, lo so, è: sono solo un po' stanca.




3. HO MAL DI TESTA

Vero. Ultimamente, ce l'ho spessissimo. Ma stai a vedere che sono solo un po' stanca.




A parte questo, sono davvero contenta che tu, Springsteen Bruce, abbia scelto la data di Roma ( = quando io non c'ero... e non è che capiti spesso, quando suoni in Italia) per regalare al tuo fedele pubblico la tanto agognata "New York City Serenade". E mi riempie di piacere sapere che, per farlo, tu abbia pensato di farti accompagnare dall'Orchestra Roma Sinfonietta.

In mille su quel palco, e io non ero là sotto, Maledetto.

Ma sono felice per chi ha potuto gustarsi il momento (peste vi colga tutti quanti, disgraziati).


Altri aggiornamenti dalla settimana appena trascorsa:
c'era Ryan Gosling, qui a Reykjavik!
No, non lo abbiamo incontrato.
Pare, tuttavia, che ogni islandese, invece, sì.
Addirittura lo hanno visto quando, distratto da chissà quali eventi, ha tamponato lievemente l'auto che precedeva la sua.
Però non era Ryan Gosling. Era tale Júlíus Pétur Guðjohnsen, che tornava dal funerale della nonna, poveretto.
Júlíus dev'essere abituato a questa curiosità morbosa delle genti, visto che, dice, tutti non fanno altro che dirgli quanto assomigli all'aitante attore.
Ecco Júlíus.

Vabbé, soprassediamo.

Comunque il vero Ryan Gosling c'era davvero. Solo che non ha tamponato nessuno.




Ultima nota di colore: nonostante cerchiamo di mimetizzarci tra gli autoctoni, veniamo ancora considerate miseramente turiste.

Gli autisti degli Strætó, in modo particolare, zelanti zelanti, tutte le volte che prendiamo il 14 per tornarcene a casa (in una zona un po' decentrata, ma mica poi tanto), si sincerano - "Hvert ert þú að fara?" - che siamo su quell'autobus perchè proprio in quella direzione dobbiamo andare, e non perchè ci siamo perse.

"I thought you were tourists", poi ci dicono.

Quasi un po' come a Troisi in "Ricomincio da tre", però al contrario.


Aspetto con ansia il giorno in cui verremo ignorate dall'uomo al comando del mezzo pubblico.



Tuesday, July 9, 2013

siamo le sfogline, il potere ci temono

Ha inizio il brainstorming sul nome da darci. Partendo dal pensiero "deve essere un nome che espliciti il servizio che offriamo, e che dia un taglio preciso al tutto. Qualcosa con organic".

L.: pentola come si dice in inglese?
I.: pot
L.: pol pot!
I.: ...
L.: un po' forte?
I. : allora palpot ...
L.: che bello palpot!
I.: ma no...
L.: è pure musicale, quasi.
I.: ma, in bergamasco, palpòt,  riferito al cibo, non è mica un complimento! E' una cosa come mappazzone...
L.: è pure di moda allora! Organic mappazz1!!!!!!!11!!!!!!


Nel caso ve lo steste chiedendo : no, non ci chiameremo davvero così.

Thursday, July 4, 2013

tell me why I DO like Mondays

Questo lunedì abbiamo inanellato una serie di successi come non ci capitava da un pezzo.

Andiamo testè ad elencarli.

Tappa uno: l'Heilbrigðiseftirlit. Più precisamente, il Matvælaeftirlit.
Facili entrambi, i nomi, eh?
Il primo, è l'"Ufficio Controlli Sanitari". Il secondo, invece, è l'Ufficio Controllo Alimenti.
Lo scopo della visita era farsi un'idea dei permessi necessari per offrirci come cuoche a domicilio, visto che, per ora, non ci sono rimasti soldi da investire preferiamo dare una struttura snella alla nostra attività.
Ad ogni modo, nei suddetti uffici su Borgartún, abbiamo capito che qui, questo genere di consultazioni, funziona così:
entri --> prendi il tuo numerino (tempi di attesa quasi pari a zero; eventualmente, per ammazzare il tempo, puoi sempre prenderti un caffè. Gratis.) --> chiedi --> ti vengono date delle risposte esaurienti.

Tappa due: il Vinnumala Stofnun (Ufficio di Collocamento).
Anche qui, l'impiegata che ci ha accolto ci è stata di grande aiuto.
Tra circa quattro settimane, avremo un bel kennitala a testa!
Così, finalmente, ci potremo aprire un conto in banca, e - udite! udite! - iscriverci ad un corso di lingua islandese a prezzi vantaggiosi.
Insomma, gradualmente, stiamo iniziando ad avere accesso alla società islandese.



Ma dicevamo dei successoni di lunedì.

Dopo giorni di nervosa attesa, possiamo finalmente dirlo: abbiamo un lavoro!
La prossima settimana, faremo la spola Reykjavik-Mosfellsbaer, per imparare a preparare sushi con uno Chef giapponese. Poi, due settimane di turno di notte in una cucina in cui si produce sushi da distribuire poi, in giornata, in diversi paesi islandesi.
Infine, da agosto, inizieremo a lavorare in un punto produzione/vendita qui nel centro di Reykjavik.
Il contratto durerà un anno almeno, poi si vedrà.

Nel mentre, organizzeremo come si deve la nostra attività di sfogline / cuoche a domicilio.

Galvanizzate da tutte queste belle novità, abbiamo festeggiato comprandoci una lavatrice! Da tre giorni, in questa casa, non si fa altro che caricar panni e gioire fissando l'oblò dell'amata macchina.

Invece, niente frigo ancora.
Quello che sembrava un affarone (e che, se ci siete occhi di lince, potete vedere nell'immagine sottostante), si è rivelato un ottimo sostegno per piastre elettriche, una bella dispensa per menti creative... ma davvero un pessimo frigo. Sfonda i timpani e non raffredda.
Fortuna l'abbiamo pagato, usato - molto, a quanto pare... più logoro che semplicemente usato - 3.000 isk (più o meno venti euro).
I cibi freschi restano, per ora, parcheggiati sul davanzale della finestra (socchiusa).
Davanzale interno. C'è bisogno di specificarlo, col vento che tira da queste parti... ?
Ma sistemeremo anche la questione frigo, prima o poi.
Siamo fiduciose.










p.s.: amici, ci siamo! Le scatole chiuse con lo scotch sono a pochi metri da noi. L'altra sera, abbiamo visto, dalla finestra, una nave porta-container avanzare elegantemente verso il porto.
Sentiamo profumo di libri, utensili da cucina, cd e cicerchie (e olio extravergine di oliva, riso, quinoa, e tutti quei viveri che ci siamo auto-spedite e che ci faranno tornare a sorridere alla vita).

Thursday, June 27, 2013

unu entu! unu entu!

C'è una barzelletta sarda (proprio sarda nel senso che è diversa dalle altre barzellette che potete sentire, perchè si sa che i sardi, di tutte le cose che sono nel mondo, hanno una loro versione. Come, per esempio, dello yogurt, della polenta etc. ... l'elenco è molto lungo, come questa parentesi).
Ma dicevamo, la storia fa così: un tizio racconta a un suo amico che un giorno, tra sé e sé, pensava: "unu entu! unu entu!" (traduzione "ma che vento! ma che vento!"). Chiosando: " 'ndì gallu de sa motu, accabbau su entu!" ("mi fermo e scendo dalla moto, è finito il vento.").
Ecco: oggi, a Reykjavík, non siamo ancora scese dalla moto.
Forse, questa città è anche il posto del non ovvio: se piove non ti bagni, se c'è il sole non sono per forza le dieci del mattino, se un frigo fa rumore - abbondante rumore - non è detto che stia funzionando.
E, se c'è il vento a 37 km/h, non è detto che tu stia andando in moto.




Sunday, June 23, 2013

l'importanza dell'acca

Dopo aver visionato diverse abitazioni (da quella della ragazza col moccolo perenne a quella che ci ha spaventate anche solo vedendola dall'esterno);
dopo aver disquisito di Vibo Valentia con un tizio tatuatissimo che ci ha accolto con un enorme trapano in mano nonché invitato ad "immaginare" la casa/garage in cui avremmo dovuto abitare, visto che lui non l'aveva ancora diciamo terminata;
dopo essere state tentate di prendere in affitto un appartamento con un bagno spartano persino per gli stessi islandesi - non proprio dei fissatissimi in materia - proprio sopra un noto gay-pub "a little noisy" pure a detta del proprietario.
dopo tutto questo ed altro ancora, eccoci: siamo nella nostra nuova casa, finalmente.

Ci è costata mille spaventi e una lunghissima trattativa via e-mail con l'amico Jóhann, agente immobiliare di Leigulistinn (che pare essere il mezzo più serio di trovar casa, se non conosci abbastanza gente da poterti affidare al passaparola).
In realtà, non è proprio proprio la casa che Jóhann ci aveva mostrato e che avevamo deciso di prendere in affitto. Quella per cui ci eravamo dette "figurati, è disponibile dal 19 ottobre 2012... vuoi forse che non sia libera tra un paio di settimane, quando saremo di ritorno a Reykjavik pronte ad entrarci con tutta la solennità del caso?".
Ecco, effettivamente, no: non si è rivelata più né libera, né pronta ad accoglierci.
Ma noi diciamo: per fortuna!
Perchè, nel frattempo, si è liberato il monolocale al piano superiore, che ci garantisce la vista-oceano!
Per avere queste benedette chiavi, però, abbiamo sudato sette camicie (che, moltiplicato per due, fa quattordici. E ancora non abbiamo una lavatrice... fate voi): dopo che i due tentativi di bonifico italia/euro --> islanda/corone islandesi si sono divertiti a non andare a buon fine, noi, sfogline risolute, siamo andate a prenderci comunque la casa di persona, negli uffici di Jóhann.
Non prima di aver fatto una breve sosta, a causa della pronuncia non proprio precisa del nome del nostro ormai quasi-amico, nell'ufficio del collega Jón (senza h). Il quale, giustamente, insisteva nel dirci "ma io non avevo alcun appuntamento con voi".
Manco noi con te, Jón, se è per questo.
Ma insomma, spiega che ti rispiega, ecco che Jón si illumina e ci porta nell'ufficio di un divertitissimo (maledetto) Jóhann.

E quindi, dopo quattro notti trascorse dormendo come due sacchi della spazzatura su un pelosissimo materassino gonfiabile da campeggio, ora eccoci qui, nel nostro appartamentino di fronte all'oceano, con soltanto un letto nuovo nuovo (la giornata trascorsa in compagnia di Ikea e dei suoi fantasiosi dipendenti meriterebbe un capitolo a parte) e due appendi-abiti.
E un mini-lavello + mobile base + pensile, fortunatamente già presenti in loco.

Manca tutto il resto, ma ci stiamo attrezzando.

Reykjavik, noi ti abbiamo scelta, per un anno almeno: tu, per favore, amaci e trattaci bene.